martedì 24 novembre 2009
RUBRICA ALLENATORI DI BASKET GIOVANILE FRANCESCO BENEDETTI - REYER VENEZIA
Intervista a Francesco Benedetti (Responsabile Reyer Venezia)
D: Cosa significa per te costruire un buon settore giovanile?
R: Costruire una grande famiglia, dove qualunque sia la casa che si vive quotidianamente, ci si senta partecipe di qualcosa di più grande ed importante. Un buon settore giovanile deve avere dei suoi principi, morali per la crescita dell’individuo e tecnici per perseguire l’obiettivo finale di costruire dei giocatori importanti. Anche se il vero Settore Giovanile deve lavorare per permettere a tutti i suoi atleti di migliorare ed esprimersi al meglio di quelle che sono le capacità individuali.
D: Che cosa non può assolutamente mancare per avere un buon settore giovanile?
R: Credo sarebbe riduttivo citarne solo una. Anche se dei buoni istruttori-allenatori sono immancabili, credo vadano di pari passo con un preparatore fisico competente ed addentro alle problematiche specifiche del nostro sport e di ragazzi giovani in particolare, nonché dirigenti disponibili e preparati e strutture consone che permettano lo svolgersi delle attività quotidiane.
D: Quali aspetti tecnici prediligi nel tuo modo d’insegnare la pallacanestro ai giovani atleti del tuo settore giovanile?
R: L’apprendimento dello stesso fondamentale per ripetizioni, ma inserito in situazioni di crescente difficoltà e variabilità. E’ fondamentale la dimostrazione e la visualizzazione del gesto tecnico, ma anche il confronto quotidiano con livelli di difficoltà maggiori.
D: Come riesci a far capire ai tuoi giocatori l’importanza di allenarsi sempre al massimo, di diventare ottimi atleti prima che buoni giocatori, l’importanza di una dieta specifica…?
R: Non sempre ci si riesce… L’essere atleta è difficile, di questi tempi lo è sempre di più, perché presuppone dei sacrifici che la società moderna non insegna a fare. Noi cerchiamo innanzitutto di dare l’esempio, non mi sentirei di spiegare ai ragazzi quanto male fa il fumo e poi uscire a fumarmi una sigaretta, o parlare di obesità ed andare dal McDonald e così via. Certo, si cerca di spiegare con franchezza e con esempi tangibili quanto sia importante essere atleta, l’alimentazione, la cura del corpo , ecc., ma se di base non c’è la volontà del ragazzo che sente tutto questo lavoro fondamentale per la sua crescita, le parole sono sparse al vento. Noi crediamo molto ad esempio nella preparazione fisica, ritagliandole grossi spazi, anche a discapito del gioco vero e proprio. Spero che anche questa scelta venga sentita dai nostri ragazzi come un riconoscere l’importanza di questo fattore ed uno stimolo per loro di seguirne i consigli seriamente.
D: Nel tuo rapporto interpersonale con i ragazzi che alleni quale metodo pedagogico usi per ottenere sempre il massimo?
R: Sono sempre stato caratterialmente portato per creare dialogo e conoscenza reciproca anche fuori dal campo, credo fermamente che è difficile comprendere un giocatore se prima non si comprende la persona, il contesto in cui vive ed il suo background. C’è sempre il momento in cui imporsi, arrabbiarsi o sgridare, ma ci deve sempre essere il giusto equilibrio nel rapporto, soprattutto di rispetto e fiducia. Solo fidandoti del tuo allenatore credi veramente in quello che fa e che ti servirà per migliorarti e puoi dare tutto te stesso nel lavoro e sacrificio che ti chiede.
D: Nella tua carriera di allenatore di settore giovanile la presenza di genitori e/o familiari (amici) ingombranti che hanno rappresentato un problema per il miglioramento dei giovani giocatori che allenavi ci sono stati? E se si in che in modo hai risolto la questione?
R: Anche qui che ci siano stati è fuori dubbio, che siano stati risolti è tutto da dimostrare! Di sicuro non mi barrico dietro la mia posizione, si cerca sempre inizialmente di essere accondiscendenti, di trovare un dialogo, magari creare un punto d’incontro per permettere a chi “critica” di valutare anche il tuo punto di vista, o altri diversi.
Poi è chiaro che ad un certo livello un allenatore deve far rispettare la propria autonomia tecnica all’interno di gruppo e squadra. Quindi se la situazione dovesse degenerare, accetterei di perdere un giocatore, seppur forte, pur di conservare il gruppo, la società (intesa come il non creare precedenti pericolosi) e ultimo ma non ultimo, la mia dignità professionale.
D: Quali sono, secondo il tuo parere, i tre maggiori problemi per il basket giovanile in Italia e se vuoi dicci come faresti a risolvere questi problemi?
R: Il problema maggiore penso sia la mancanza di alternative valide per consentire ai ragazzi di fare esperienze vere e costruttive dopo la fine del Settore Giovanile, cioè tra i 19 ed i 22 anni. Come vivaio di serie A trovo molto interessante la possibilità di creare un gruppo completamente in doppio tesseramento, strada aperta da Federico Danna a Biella e che se sarò nelle condizioni, mi piacerebbe replicare.
So che il direttivo del Settore Giovanile, presieduto da Eugenio Crotti, sta lavorando per permettere agli RTT di essere più vicini ed inseriti nelle realtà territoriali, questa credo sia la soluzione migliore per migliorare e rendere più omogeneo il lavoro delle realtà anche più piccole.
Come terzo problema segnalerei il tatticismo sfrenato che talvolta si vede a tutti i livelli del giovanile, forse sarebbe il caso di rendere obbligatori meno tesserini e punti di formazione, ma mirare di più la formazione di allenatori e dirigenti specializzandoli nel Settore Giovanile.
D: Che consiglio daresti ad un giovane allenatore che voglia specializzarsi sulla formazione di buoni giocatori a livello giovanile?
R: Gli consiglierei di abbinare il più possibile l’esperienza e lavoro in palestra con la ricerca di possibilità di vedere all’opera chi del Settore Giovanile ha fatto lavoro e qualità, credo che in un allenamento di Consolini, Di Lorenzo, Schiavi o Danna (solo per citarne alcuni) un giovane allenatore possa imparare più che passando un anno in palestra o studiando mille libri. Il problema è che purtroppo le scarse risorse che nel passato sono state riservate ai settori giovanili, hanno spinto grandissimi allenatori di queste categorie a scegliere percorsi più remunerativi, ma vedere a tutt’oggi un individuale di Molin, Valli, Banchi, Calvani o Boniciolli sia il miglior modo di affacciarsi alla pallacanestro giovanile.
D: In ultimo qual è la motivazione che ti porta a continuare ad allenare a livello giovanile?
R: Semplicemente non credo ci sia nulla di più appagante nella vita di poter insegnare qualcosa a qualcuno. Poterlo fare all’interno dello sport che amo e vivo da più di 20 anni lo ritengo una grandissima fortuna, che spero duri ancora a lungo.
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