sabato 29 marzo 2008

MOLTI MI CHIEDONO I SEGRETI DELL'ESSERE

UN ALLENATORE IN GAMBA... DAL SITO AIPS


Intervento di Vincenzo Prunelli

Che cosa ci permette di avere autorità e di essere seguiti? Non una tecnica, ma il nostro modo di essere e la capacità di creare un clima che riconosca il rispetto, la cooperazione, la responsabilità di tutti, la somma delle idee e la valorizzazione dei contributi e delle intenzioni prima ancora che dei risultati concreti. Ma più ancora l'evitare ciò che crea distanza o ci rende vulnerabili.

Le motivazioni più prementi per un allievo, infatti, sono il rapporto con noi e il clima della squadra, il sentirsi apprezzato per ciò che fa o anche solo cerca di fare, il partecipare e constatare che ciò che gli insegniamo e chiediamo è sempre applicabile ed efficace.

È unanimemente riconosciuto che l'allenatore deve essere autorevole e non autoritario, ma il confine e le differenze tra autorità e autoritarismo non sono netti. Entrambe le posizioni possono dare peso agli atti e alle opinioni, ma sono due realtà del tutto diverse. L'allenatore che ha autorità ottiene consenso e stima, e stima egli stesso l'allievo, non vuole sottomissione ma iniziativa e partecipazione

L'autorità non ha bisogno di essere imposta, perché sono gli altri a volerci seguire e perché rispecchia la stima e il prestigio che abbiamo raggiunto.

Invece l'autoritarismo, con il quale si vuole imporre l'osservanza delle norme e l'esecuzione passiva dei comandi, non deriva dal prestigio acquisito, ma è uno strumento cui si ricorre per imporsi quando non si hanno altri mezzi per essere seguiti.

Oggi si parla meno di sergente di ferro, perché comportarsi in quel modo vuol dire mantenere condizioni in cui gli allievi restano soldatini che, se tutto va bene, eseguono, ma non arrivano alla sicurezza per proporre e fare da soli, o che, più spesso, diventano distruttivi. Il sergente di ferro, infatti, sa solo comandare e non concede spazio per decidere e agire, ma così va incontro a due risultati pressoché analoghi: un allievo passivo che si adegua o uno ostile che si ribella.

Nel caso di quello che si adatta avremo la mancanza di continuità, le gare sottogamba, i cali inspiegabili e tutte le situazioni in cui resta dipendente anche quando dovrebbe fare da solo, perché la creatività, l'entusiasmo, l'iniziativa e il coraggio di fare restano inattivi e spesso mortificati, e ciò provocherà l'incapacità di maturare l'impegno che nasce solo da forti motivazioni.

Nel caso di quello che si oppone avremo reazioni ostili come, fino a una certa età, i vari tipi di resistenza passiva, le delusioni o i veri e propri fallimenti. Più tardi avremo le trasgressioni, il disimpegno o le ribellioni più o meno palesi.

Vediamo tanti allenatori, sempre comunque apprezzabili, che, per mancanza di conoscenze e di una formazione specifica, mettono insieme buone intenzioni ed errori. C'è chi si impegna a rinunciare a certe durezze o pretese, ma non le sa sostituire con un vero rapporto fondato sulla partecipazione; chi cerca un rapporto più affettivo, magari basato sull'amicizia, ma perde autorità; dedica più tempo a spiegare, senza però cambiare il modo di farlo; chi chiede partecipazione, ma permette e si attende poco più che fedeli esecuzioni; e chi cerca di stimolare e incoraggiare con le parole oppure, con buone maniere, dà tutto già predisposto, e così anestetizza il desiderio di sapere e di sperimentarsi.

Molti allenatori sono burberi, magari urlano o si impongono con il comando, ma dietro questa facciata esteriore nascondono una durezza di maniera, un pudore affettivo che maschera una disponibilità che gli allievi avvertono e che esprime il rispetto per ciò che essi si impegnano a fare.


Condivido il trattato di questo psicologo intravedendo in molti modi che vengono descritti casi di allenatori e istruttori con cui ho avuto a che fare nel passato e che in qualche occasione mi capita ancora adesso di incontrare.

Aggiungo un particolare secondo me significativo. Spesso mi capita di vedere che più si scende di livello più c'è permessivismo, più si sale di categoria e di livello di società più c'è autorità.

Questo capita anche a stesse persone che magari buoni allenatori con un grado di autorità medio... salendo di livello e magari facendo carriera in società più blasonate o allenando gruppi più forti, aumentano in modo spropositato la loro autorità.

Di fatto l'autorevolezza cambia a mio parere con la maturità, ma non dovrebbe cambiare in base al posto dove sei o alle persone che ti circondano. Se ritieni giusto essere autorevole con un certo grado, non puoi cambiare perchè alleni a Treviso invece che a Lissone. E' vero (e parlo per esperienza personale) che il mio modo di fare di 15 anni fa nei confronti di uno che arrivava tardi all'allenamento, per esempio, è cambiato profondamente in questi ultimi anni con l'arrivo della così detta piena maturità, ma altrettanto vero che il modo di intendere i rapporti interpersonali e il trasferimento delle conoscenza tecniche che ho fatto e che faccio ogni giorno della mia vita da ormai diversi anni non si è poi così tanto modificato ne quando allenavo i gruppi B in Via Rainoldi in centro a Varese, ne quando allenavo le squadre serie alla Pall. Varese ne tantomeno adesso a Bergamo.

Sono mutati gli ambienti, ma i valori di rispetto, educazione (in senso letterale del termine: educere - tirare fuori) e fiducia nei confronti di tutti quelli che stai facendo maturare e crescere allenandoli ogni giorno dell'anno, sono rimasti di fatto immutati.

PER RIFLETTERE: ARTICOLO DA REPUBBLICA.IT

LA PUNIZIONE NON PAGA


I pedagogisti più illuminati lo sostengono da tempo, i ragazzi poi non possono che essere d'accordo: la punizione non paga. Ora lo sostiene anche una ricerca scientifica americana, secondo la quale il castigo è addirittura un comportamento da perdenti.

Nello studio, guidato da Martin Nowak della Harvard University e pubblicato su Nature, i ricercatori hanno valutato le diverse reazioni di un gruppo di volontari cui è stato chiesto di giocare al "Dilemma del prigioniero", un problema di teoria dei giochi ampiamente studiato come modello in economia e sociologia.

Il gioco cattura perfettamente la tensione che si crea fra gli interessi individuali e quelli del gruppo, e il classico paradigma della cooperazione. Lo studio ha rivelato che sono i perdenti a punire, mentre chi colleziona più punti al gioco tende invece a non punire mai. Non solo: un comportamento punitivo si associa a un vantaggio ridotto dal punto di vista individuale, e inesistente per la collettività.

Uno dei coautori della ricerca non usa mezzi termini: "I vincenti non puniscono" dice David G. Rand, della Harvard University. Non lo fanno perché il castigo genera una spirale di vendetta, che può avere conseguenze distruttive per tutte le persone coinvolte.

Nella versione del gioco utilizzata nell'esperimento, i volontari avevano diverse opzioni di vincita o perdita, collegate allo stesso tempo alle mosse degli altri. Ciascun giocatore può decidere di "cooperare" con gli avversari, di pensare solo ai propri interessi o di punire l'avversario, accettando al tempo stesso una perdita personale. Alla fine delle diverse prove, i cinque giocatori risultati in cima alla classifica dei vincitori avevano scelto di non punire mai l'avversario. All'estremo opposto si sono piazzati quelli che avevano usato la punizione frequentemente, perdendo.

Il castigo, concludono i ricercatori, non è una buona strategia per promuovere la cooperazione, ma corrisponde ad altre esigenze, come quella di rinforzare una gerarchia di comando o difendere una proprietà. E ammoniscono: in una società competitiva come quello di oggi, vince chi resiste alla tentazione di esasperare i conflitti, mentre chi sceglie di punire, perde, vittima della sua stessa arma.

link dell'articolo: http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/scienza_e_tecnologia/punizione-ricerca/punizione-ricerca/punizione-ricerca.html

mercoledì 26 marzo 2008

POCO PIU' DI SEI MESI... PAROLE SANTE


Solenne la sposa
di bianco vestita,
sale l'altare
ad abbracciar la vita.

E' il giorno più bello
e con grazia e splendore
corona, d'incanto,
il suo sogno d'amore!

Sul far della sera
c'è un grande fervore
e un raggio di luna
ne accende l'ardore:

uno sguardo, un sorriso,
una bella canzone
e i più teneri baci
d'intensa passione!

Quel filo d'argento
dal bianco chiarore
tesseva, sornione,
la sua trama d'amore.

BARILA' E GARBOSI IL BASKET STA CAMBIANDO?

EMERGONO LE NUOVE SCUOLE DI PALLACANESTRO


Anche l'edizione numero 29 del Trofeo Garbosi e la numero 4 del Barilà confermano che poche realtà in Italia sanno imporsi sempre e comunque. E' difficile trovare Società che dagli Under 19 fino agli Under 12 abbiano un dominio assoluto delle varie categorie giovanili.

Ogni annata vive di situazioni particolari o contingenti. La dimostrazione più lampante sono le classifiche finali dei vari tornei. Tutte le Società finite sul podio nelle varie categorie, nelle altre fasce d'età non appaiono tra le prime.

Questo segnale a mio parere non è negativo di per se, però è un chiaro sintomo che è difficile primeggiare in tutte le annate, proprio perchè in molti stanno facendo le cose seriamente.
Chi ha il proprio minibasket fatto bene come Varese, ma anche Saronno, Padova, Gorgonzola, Tradate per citare le prime che mi vengono in mente... investono molto in queste risorse, ma questo tipo di attività non garantisce di per se di primeggiare. Allora ci vuole qualcosa in più.

Che cosa può servire veramente per progredire nell'attività giovanile? La risposta non può che essere la creazione delle Scuole di Pallacanestro. Ogni singola Società Sportiva si deve creare al proprio interno un modo per progredire cercando e trovando ogni giorno il miglior modo per farlo con serietà e dedizione. E allora ben vengano manifestazioni come quella appunto del Garbosi o altri eventi speciali che possano dare impulso positivo al movimento.

La qualità però delle persone e degli Istruttori diventa determinante. E allora non mi scandalizzo se non ritrovo più città importanti come Varese e Pesaro tra le protagoniste assolute in tutte le categorie. Assemblare di per se non costituisce un milgioramento.

Il concetto è un po' questo. Tutti i ragazzi in età Scuola Media a Varese vogliono andare alla Scuola Media Dante. Scuola rinomata (sopratutto dalle altre scuole superiori della città giardino) per qualità d'insegnamento ed organizzazione. Ok. Ma i professori che arrivano alla Dante se ci sono venti prime medie non sono altro che gli stessi professori che avrebbero insegnato agli stessi alunni nelle altre scuole della città, se quest'ultimi fossero rimasti nei loro rispettivi quartieri. Di fatto tutti fanno più sforzi (trasferimeti più lunghi - classi sempre più piccole e anguste - orari più compelssi) ma il livello qualitativo dell'insegnamento inesorabilmente si abbassa.

Così forse tra i due colli. Adesso per avere nuovo impulso la città di Varese deve sperare che la Cimberio si svegli un po' fuori per la gestione della sua attività giovanile altrimenti il grigio sarà il colore sociale dei prossimi anni.

CONSIDERAZIONI FINALI SUI TORNEI A VARESE

BARILA' E GARBOSI VERE SCUOLE DI VITA E SPORT


Quando mi vengono a dire che la scuola è importante per i giovani d'oggi e che bisogna dare una impronta decisiva nella programmazione dell'attività sportiva giovanile dei nostri atleti, ad appannaggio appunto dei nostri istituti scolastici oltre a venirmi da sorridere, mi vengono in mente anche altre mille considerazioni.

E' vero che la scuola è importante (secondo ambiente educativo dopo la famiglia), è vero che la cultura è uno dei metodi più sostanziosi per far progredire la società civile, ma è altrettanto vero che una attività sportiva di alto livello come quella vista in questi giorni a Varese (durante il Memorial Barilà) non può che esaltare in modo sostanziale le caratteristiche individuali dando nei fatti quella progressione umana che nella scuola viene letta, studiata e alle volte memorizzata, ma che in realtà non viene quasi mai sperimentata in prima persona dagli studenti. Di fatto l'educazione fisica a scuola sta proprio in mezzo tra la prassi e la teoresi. Muoversi in una certa maniera è cultura, come il pensare a risolvere una equazione o citare l'interpretazione dei sogni di Freud. Non si capisce perchè per certi aspetti si ha rispetto e per altri no.

L'eucazione alla cultura non può essere fine a se stessa come capita nella maggior parte delle scuole, grazie ai programmi ministeriali di 40 anni fa. La preparazione alla miglior vita possibile è il nuovo concetto da intraprendere per fare le differenziazioni del caso. C'è chi sarà portato per la matematica e chi per la filosofia. Ma porca miseria possibile che in Italia quelli che sono portati per lo sport non abbiano nessuno strumento per poter progredire se non il volontariato di persone volentorose (e meno male che esistono) che costruiscono società sportive di livello.

Ecco allora l'esempio della squadra proveniente da Ulm (Germania) che ha creato un programma apposito di Liceo Sportivo reclutando in giro per la Germania prima e l'Europa dopo i migliori prospetti possibili ed immaginabili per quanto riguarda il basket, facendo vivere a questi ragazzi una full-immersion di basket e studio per cinque lunghi anni, determinanti per il loro avvenire.

Allora ecco che la Scuola si mette a completa disposizione di fisici nati per il basket, si sforza di esaltare le doti tecniche-tattiche di questi giovani giocatori, mettendo in primo piano la persona e non la cultura generalizzata.

In Italia questo tipo di idea non esiste, ma negli altri paesi europei (e non solo quelli della ex jugoslavia) questa cultura sportiva esiste e le cose si fanno seriamente.

Non si capisce cosa si aspetti in Italia a intraprendere una iniziativa del genere.