martedì 8 dicembre 2009

RUBRICA ALLENATORI DI BASKET GIOVANILE
GUIDO TASSONE - PALL. MONCALIERI-SAN MAURO


Intervista di Guido Tassone (Responsabile Pallacanestro Moncalieri)

D: Cosa significa per te costruire un buon settore giovanile?

R: Il settore giovanile è il ”gruppo“, una unione di programma, di identità, di progetto, di crescita per tutte le componenti.

D: Che cosa non può assolutamente mancare per avere un buon settore giovanile?
R: Le società che ci credono, che definiscono gli obiettivi, LA PASSIONE DI TUTTI, allenatore/i che sappiano “tradurre”.

D: Quali aspetti tecnici prediligi nel tuo modo d’insegnare la pallacanestro ai giovani atleti del tuo settore giovanile?
R: utilizzo del fondamentale nella visione progressiva e globale del miglioramento del gioco

D: Come riesci a far capire ai tuoi giocatori l’importanza di allenarsi sempre al massimo, di diventare ottimi atleti prima che buoni giocatori, l’importanza di una dieta specifica…?
R: Come primo obiettivo non tecnico PROVO a far capire che non contano le regole esplicite, ma che gli atleti, gli uomini possono e devono crescere costruendosi, sentendo proprie le “Regole implicite”, la serietà, la disponibilità, l’altruismo etc. Sono valori solo quando sentiti e non quando imposti, infine tento di indicare esempi di percorsi positivi (non necessariamente di esito sportivo).

D: Nel tuo rapporto interpersonale con i ragazzi che alleni quale metodo pedagogico usi per ottenere sempre il massimo?
R: Cerco di non barare anzitutto, ovviamente cerco di essere equilibrato con la consapevolezza di non riuscirci sempre; I giocatori capiscono che nessuno si pone come infallibile.
Devono però avere progressivamente sempre più chiaro che sull’atteggiamento Noi non concediamo nulla, che abbiamo obiettivi e vogliamo sconfiggere la “cultura dell’alibi”.
Le considerazioni ed il dialogo sulle difficoltà e sulla eventuale cattiva realizzazione sono sempre possibili, qualora appunto non siano problemi originati da cattiva mentalità, da alibi.

D: Nella tua carriera di allenatore di settore giovanile la presenza di genitori e/o familiari (amici) ingombranti che hanno rappresentato un problema per il miglioramento dei giovani giocatori che allenavi ci sono stati? E se si in che in modo hai risolto la questione?
R: Si, problemi ci sono stati, credo che nessuno abbia mai trovato la formula o abbia mai pensatoci possa essere una formula per la soluzione. La risposta potrebbe però essere molto articolata, e difficilmente oggettiva. Quando il campo della conoscenza reciproca è ancora aperto, io provo a fare passare qualche concetto dichiarando che per alcuni aspetti sarà necessaria la complicità genitore/istruttore: per esempio chiedo e propongo la collaborazione per sviluppare la “PASSIONE” dei ragazzi, dichiaro che l’obiettivo comune è aumentare il livello di apprendimento, cerco di rassicurare e fare capire che nessuno vuole imbrogliare i figli. Ma questo ovviamente è, diciamo il titolo, poi nello svolgimento si prendono strade diverse da genitore a genitore, da situazione a situazione; e non sempre sono necessariamente negative.
Se nascono problemi, tendenzialmente li affronto ancora in scambi singoli, ricordando a tutti che una visione di Gruppo, di bene del gruppo è dovuta e non può essere solo dell’istruttore, anche se la visione “Da genitore che vuole il bene del figlio“ è diversa. Alle volte i problemi si risolvono, ma non sempre.

D: Quali sono, secondo il tuo parere, i tre maggiori problemi per il basket giovanile in Italia e se vuoi dicci come faresti a risolvere questi problemi?
R: Per semplicità riduco a due i macro temi. L’ingresso nel mondo del basket, l’uscita dai settori giovanili. Oggi i solchi sono troppo marcati: il passaggio dall’attività cosiddetta mini all’agonistica, il passaggio da giovanile a senior.
Nel riguardo del primo punto io tenterei di allargare la visione; la mancanza dell’educazione fisica/sportiva nella scuola elementare lascia un vuoto di base, che viene parzialmente coperto dalle attività “mini”, che inevitabilmente restano troppo di base. Il passaggio quindi ad una attività da settore giovanile, con tutte le storture e problematiche su esposte non è ammortizzato. Il passaggio da gioco ad istruzione è difficile e va supportato dell’ente preposto con un altissimo livello di formazione degli istruttori. Banalizzo, ma il vecchio discorso da bar per cui
tante/troppe società destinano gli istruttori alle prime armi proprio in quelle fasce di passaggio così delicate, è molto attuale.
Per il secondo punto, si è parlato moltissimo tra le varie riunioni dei responsabili ed altro, e credo che la visione sia molto condivisa. Sintetizzerei dicendo che i ragazzi che escono da under 19 hanno ancora delle esigenze, delle lacune da colmare. Serve un sistema che li veda ancora protagonisti ed al centro del percorso formativo, questo sistema deve essere fatto di dirigenti “centrali” che lo capiscano e di conseguenti regole che ne favoriscano la realizzazione (campionati), dirigenti “periferici” che condividano in proprio la visione, ma deve essere anche fatto da allenatori che vedano e vogliano completare l’iter formativo.

D: Che consiglio daresti ad un giovane allenatore che voglia specializzarsi sulla formazione di buoni giocatori a livello giovanile?
R: SAPERE: imparare, i libri, l’aggiornamento, informarsi, scambiare: tutto bene, ma attivare tutte quelle esperienze che ti fanno stare con i giovani con dedizione di tempo, quindi SAPER (stare) FARE.

D: In ultimo qual è la motivazione che ti porta a continuare ad allenare a livello giovanile?
R: Ho allenato per trenta anni squadre senior, e ho praticamente sempre chiesto e ottenuto di collegare una attività di responsabile o di allenatore di settore giovanile; è servito per mantenere i piedi nella realtà ed innaffiare la passione.
Egoisticamente mi crea piacere, altruisticamente penso ancora che se questa passione vive, qualche cosa si trasmette. Se si può parlare di soddisfazione personale, si parla anche di soddisfazione professionale, e forse questo fa sì di essere funzionali ed utili al sistema …spero. Crescere e far crescere.

Un aneddoto che mi rimbalza sempre: A Torino nel calcio, operava un signore
di nome Sergio Vatta, riconosciuto allora come il migliore o uno dei migliori allenatori. Faceva da sempre il settore giovanile (uno dei più produttivi d’Italia), per le vicende che sempre caratterizzano quel mondo, un giorno venne chiamato in serie "A" a sostituire non ricordo chi. Fece qualche partita poi, senza grandi clamori tornò alla sua attività con una frase che mi colpì: ”Preferisco tornare a fare un bagno nel mio mare con l’acqua pulita”.

domenica 6 dicembre 2009

RUBRICA ALLENATORI DI BASKET GIOVANILE
GIANNI CHIAPPARO DOCET



Intervista a Gianni Chiapparo (Varese)

D: Cosa significa per te costruire un buon settore giovanile?
R: Dare la possibilità al maggior numero di ragazzi/e di potersi confrontare imparando la pallacanestro, fornendo loro le conoscenze perché possano migliorare la loro creatività e gli spazi operativi perché si sentano coinvolti e considerate persone!!!

D: Che cosa non può assolutamente mancare per avere un buon settore giovanile?
R: La passione per il nostro sport, le conoscenze per poterlo insegnare, la pazienza per saperne attendere i frutti.

D: Quali aspetti tecnici prediligi nel tuo modo d’insegnare la pallacanestro ai giovani atleti del tuo settore giovanile?
R: La comprensione delle situazioni sempre diverse che andranno ad affrontare. Per far ciò devono cercare di costruirsi un bagaglio tecnico-tattico il più completo possibile, ma con un’apertura mentale ad accettare novità e differenze.

D: Come riesci a far capire ai tuoi giocatori l’importanza di allenarsi sempre al massimo, di diventare ottimi atleti prima che buoni giocatori, l’importanza di una dieta specifica…?
R: Con l’esempio, non vi è cosa migliore, i ragazzi/e “sentono”, chi hanno di fronte, lo misurano, lo accettano se capiscono che lavora per loro e con sentimento sincero anche se duramente. Prima di essere giocatori bisognerebbe essere buoni atleti. Non sempre questa regola è rispettata. Questa regola non scritta andrebbe fatta capire ed apprezzare ai giovani. Solo con sacrificio si costruisce qualcosa d'importante... sapendo anche che non sempre il sacrificio è dolore.
Per capire a fondo l’importanza di una buona alimentazione, si dovrebbe incontrare un alimentarista facendo anche test sulle intolleranze alimentari. Spesso si scoprirono cose importanti e a volte un mondo nuovo affascinante.

D: Nel tuo rapporto interpersonale con i ragazzi che alleni quale metodo pedagogico usi per ottenere sempre il massimo?
R: Un misto di metodologie didattiche vissute e quindi sperimentate in 40 anni di basket, e a seconda dell’età, delle capacità, delle situazioni ambientali in cui si opera. Basta ricordate che Sparta era la più grande democrazia dell’antica Grecia e loro lavoravano sodo. Questo non lo dico io, ma Aristotele un vecchio "coach" datato.

D: Nella tua carriera di allenatore di settore giovanile la presenza di genitori e/o familiari (amici) ingombranti che hanno rappresentato un problema per il miglioramento dei giovani giocatori che allenavi ci sono stati? E se si in che in modo hai risolto la questione?
R: Una volta non vi erano genitori onnipresenti, ma spesso solo genitori all'anagrafica. Ora troppo spesso l’eccesso di bene od il rimorso crea ingerenza, danneggiando un sano rapporto figli-genitori e genitori-allenatori. Troppo spesso le aspirazioni e le attese-pretese dei genitori vengono riversate sui figli con l'accumulo di tensioni eccessive.
Il problema esiste, personalmente cerco di agire con i ragazzi che alleno perché sono loro con cui ho a che fare tutti i giorni, e m'interessa il loro miglioramento, tuttavia lascio aperta una porta per il dialogo con gli adulti. Spiegare le ragioni delle scelte fatte e della filosofia che le ispira mi sembra cosa sana a giusta.
Dopodichè chi non crede in ciò che è stato detto e spiegato, è libero di andare da un altra parte. E' perfettamente inutile lavorare con gente scontenta. Tutti gli altri palliativi come tali lasciano i problemi senza risolverli. Ricordiamoci però che i genitori sono “loro” e che noi siamo semplicemente allenatori per un giorno, un mese, un anno.

D: Quali sono, secondo il tuo parere, i tre maggiori problemi per il basket giovanile in Italia e se vuoi dicci come faresti a risolvere questi problemi?
R: Primo, vi sono sempre meno giovani. Nel 1979 13 milioni di Under 15 in Italia, nel 2009 sono solo 9. Sapere di questo dato significa già renderci conto che proporzionalmente il materiale su cui lavorare è minore.
Secondo, sono sbagliati i tempi di competitività, troppo lungo il periodo di gare, troppo poco il tempo per lavori individuali atletici e tecnici.
Terzo, abbiamo creato figure che già a 16 anni creano "disturbi" nei ragazzi/e e nei genitori con miraggi di carriere e guadagni futuri.
Quarto, cecità di molti dirigenti che vedono il settore giovanile solo in funzione di risultati-vittorie e non di risultati come crescita degli atleti/e e della squadra.
Quinto, con le regole attuali sul professionismo, difficile fare investimenti sul settore giovanile.

D: Che consiglio daresti ad un giovane allenatore che voglia specializzarsi sulla formazione di buoni giocatori a livello giovanile?
R: Se la passione per il mondo dei giovani e per l’insegnamento della pallacanestro lo attira, siamo già a buon punto. Crearsi un bagaglio culturale sportivo e il secondo passo. Qualcosa di lungimirante che possa contenere un po' di tecnica, una buona dose di pedagogia e un saper fare funzionale all'età con cui si ha intenzione di avere a che fare.

D: In ultimo qual è la motivazione che ti porta a continuare ad allenare a livello giovanile?
R: Un sano egocentrismo ed un po’ di egoismo. E' bello dirigere un gruppo di ragazzi e fargli crescere. Poi stiamo tranquilli perchè ti torna tutto indietro. Cosa pretendere di più?