martedì 24 aprile 2012

PERCHE' BASTA POCO PER ROVINARE LA FESTA
LA ROUTINE DEL DISCORSO IN SPOGLIATOIO

Visto che qualcuno mi chiede chiarimenti sui metodi e sulle scelte rispetto all’attività che svolgo con le mie squadre, vorrei spiegare la motivazione che mi porta per il 99% dei casi, a non fare discorsi pre-partita.

Prima della gara non entro quasi mai in spogliatoio a fare discorsi, prediche, romanzine o anche solo a dire/dare indicazioni tecniche alla squadra, sulla partita che di li a poco dovremmo affrontare. Non è vero che non lo faccio mai in assoluto, ma deve esserci una motivazione particolare, molto forte.

Ritengo che l'attività svolta in palestra possa già dare utili indicazioni su cosa fare in campo al sabato. Inoltre vorrei che i giocatori che alleno sappiano trovare motivazioni, concentrazione, determinazione a prescindere da quello che posso pensare io, come allenatore. Non penso che sia positivo creare troppa “dipendenza” tra i pensieri delle persone che compongono la squadra e il pensiero dell’allenatore. Ognuno ha il suo pensiero e se lo deve tenere. Poi ovviamente si fa quanto dice l'allenatore che è responsabile di quanto accade in campo. I pensieri si conquistano con l'esempio non con le parole.

Giusto per cercare di rendere chiaro il concetto, parto dal fondo dell’idea. Mi capita, sempre più spesso, di vedere giocatori (anche a livello giovanile) che risultano stanchi, stufi, logorati, disamorati… della loro attività sportiva. Gente che (magari con potenzialità), ma che fatica ad arrivare sul parquet di gioco con entusiasmo, passione, voglia, determinazione… e felici e gioiosi di giocare per giocare.

Dando per scontato che questo tipo di atteggiamento, si sia affinato nel tempo e non sia un aspetto caratteriale congenito dell’atleta, presumo che la negatività espressa negli atteggiamenti citati poco sopra siano dovuti a sistemi educativi progettati dagli adulti. Spesso, con i nostri discorsi e modi di fare, portiamo gli atleti a non essere sempre felici di giocare una partita di basket.

Noi allenatori siamo molto bravi (purtroppo) a tarpare le ali ai nostri ragazzi, a far scendere con i piedi per terra le persone che alleniamo e a ridurre ai minimi termini l’autostima di chi ci sta di fronte. Difficilmente esaltiamo le doti innate o lasciamo dispiegare il talento degli atleti in maniera libertaria. Per soddisfare l’ego abbiamo sempre bisogno di incidere in qualche maniera. Dobbiamo metterci sempre del nostro obbligatoriamente. Spesso però le buone intenzioni non bastano. Spesso i nostri modi di fare e di dire umiliano e mortificano i giovani giocatori, provocando quanto citato poco sopra.

Cosa c’entra tutto questo con i discorsi pre-partita da fare o non fare. Poco o forse tanto, dipende da che tipo di discorsi facciamo (fate) in spogliatoio. Non pensate di non essere voi i destinatari di questo messaggio. Tutti sbagliamo e il più bravo è quello che sbaglia meno.

I vostri giocatori, di qualsiasi età (per la maggior parte dei casi), quando iniziate a fare i discorsi pre-partita magari esaltando le qualità individuale degli avversari (o anche elencando i difetti), oppure iniziate a raccontare gli obiettivi tecnici, tattici, strategici, motivazionali… e chi più ne ha più ne metta, delle varie partite di campionato si annoiano, si deprimono, si demoralizzano. Magari all’inizio vi ascoltano pure, poi però in realtà quando, nonostante si abbiano le più buone intenzioni, le cose che dite non vengono riscontrate dai fatti, (anche solo per una volta) perdete l’attenzione dei vostri giocatori e fate maturare dei pensieri che in altro modo, forse, avreste potuto evitare.

Un altro esempio che dovrebbe chiarire meglio il concetto che sto cercando di spiegare è la verifica di che comportamento ha una squadra quando manca il proprio allenatore in palestra. Mi è capitato di essere allenatore supplente, oppure di vedere della squadre che per motivi diversi non avevano il proprio allenatore presente. In queste occasioni speciali vi rendete subito conto che tipo di approccio hanno i giocatori di quella squadra e se la loro attività di gioco è subordinata alla presenza o meno dell’allenatore di turno.

Se la squadra in campo ha una propria autodeterminazione positiva che va oltre alla presenza o meno dell’allenatore o alla presenza o meno del bel discorsetto pre-partita, allora questo gruppo rappresenta già la parte vincente del movimento dello sport.

Sono convinto che se un allenatore lascia la propria squadra (per la partita, ma ancora di più per un allenamento) ad un altro allenatore e quest’ultimo, non faticando, trova gente che s’impegna e si diverte ugualmente giocando con passione e determinazione, allora l’obiettivo dell’autonomia è stato raggiunto alla grande.

Come allenatore farei degli sforzi per far passare questo concetto ai nostri giovani atleti. Sempre di più invece si va nella direzione opposta. Il mio allenatore diventa una besta se non do il 100%! Allora mi impegno al massimo! [GIOCO PER PAURA]
C’è il procuratore? M’impegno di più. [GIOCO PER QUALUN’ALTRO]
C’è l’allenatore della nazionale? Mi sbatto di più. [GIOCO PER DIVENTARE FAMOSO]
C’è da guadagnare dei soldi? Allora do tutto. [GIOCO PER LAVORO]

Ma chi chiederà mai ad un bimbo perché gioca a palla od un amante perché ama? [GIOCO PER GIOCARE]