martedì 13 aprile 2010

LETTERA CHE SPIEGA UNA GRANDE VERITA'
"CERCATE UN ALLENATORE INCAPACE?"


Riporto con piacere articolo apparso sulle pagine on-line dell'Eco di Bergamo, di una lettera di un allenatore di calcio. Grande verità.

«Io per i genitori sono e sarò sempre un allenatore incapace. Mi chiamo Milco, sono un allenatore di calcio di settore giovanile ormai da 14 anni, sempre nei quartieri di Bergamo, e attualmente sono il mister di una squadra allievi Figc. Vi racconto con ironia il perché del titolo di questa mia lettera di sfogo».

«I genitori non sono e non saranno mai contenti e la loro infelicità diventa un mio limite. Ho partecipato per tre anni a un campionato categoria giovanissimi Figc denominato "fair play". Questo campionato aveva due regole principali. La prima era che la partita era suddivisa in tre tempi da venti minuti ciascuno e inoltre vigeva l'obbligo di far giocare per un tempo tutti i ragazzi che erano a disposizione in panchina».

«I sette cambi io li facevo sempre all'inizio del secondo tempo, in più ovviamente c'erano tutte le altre regole comuni del gioco del calcio. Avevo venti giocatori in rosa e di conseguenza c'erano quaranta genitori. Il regolamento mi consentiva di inserire in distinta solo diciotto giocatori (undici titolari e sette a disposizione), quindi purtroppo due ragazzi non potevo convocarli».

«Pronti via ed ecco che per i quattro genitori di quei due ragazzi non convocati io ero un allenatore incapace. Dai Milco, mi dicevo, non ti abbattere, ne hai ancora trentasei che ti stimano. Arrivava il giorno della partita e io mi dovevo attenere al regolamento, undici titolari e sette a disposizione».

«I ragazzi erano vestiti, uscivano dallo spogliatoio ed entravano in campo per il riscaldamento. I titolari all'interno del campo di gioco, gli altri da un'altra parte a palleggiare tra loro. Boooommmm! Ecco che anche per quei quattordici genitori resisi conto di avere i propri sette figli non titolari io ero diventato un allenatore incapace, nonostante avessi comunque convocato i loro figli».

«Non devo mollare, mi dicevo allora, ho ancora ventidue genitori che mi vogliono bene. L'arbitro era pronto a fischiare l'inizio della partita, i ragazzi titolari si disponevano in campo in base ai ruoli da me dati. Non era possibile, porca miseria che sfortuna, per otto genitori i loro quattro figli giocavano fuori ruolo. Mi veniva da morire, nonostante li avessi convocati, nonostante giocassero titolari, anche per loro otto io ero un allenatore incapace».

«Barcollavo ma non mollavo, avevo pur sempre ancora quattordici genitori che mi stimavano.... Ma no! Finito il primo tempo e nel rispetto del regolamento, facevo entrare tutti e sette i ragazzi che erano a disposizione. Ma io mi chiamo Milco ed ero, sono un allenatore incapace e sapete cosa combinavo con i cambi? Lasciavo in campo i quattro giocatori che "erano fuori ruolo" e sostituivo gli altri sette, così anche per gli ultimi quattordici genitori io mi trasformavo in un allenatore incapace, nonostante la convocazione e la maglia da titolare».

«Mi chiamo Milco, cercate un allenatore incapace?»

Capisco perfettamente i concetti espressi da questo allenatore di calcio giovanile. Non penso che tutto ciò, si allontani molto dalle logiche della maggior parte dei genitori che hanno i figli che giocano a basket. Un po' ci aiuta il fatto che la pallacanestro è un gioco per persone intelligenti (così si diceva un tempo) e quindi, in questo caso, le differenze con il calcio ci aiutano.

Già è molto difficile convincere della bontà del proprio modo di fare gli stessi ragazzi, figuriamoci genitori, parenti, amici... e quant'altro.

Come allenatori e istruttori, abbiamo però un vantaggio da non perdere mai di vista, rispetto ai genitori coinvolti in queste dinamiche. La nostra coscienza deve andare di pari passo con l'obiettiva valutazione di natura tecnica, fisica, e mentale a cui a nessuno dovremo mai rispondere.

Se alla sera, dopo un allenamento, dopo una partita più o meno importante, dopo la finale di un torneo, siamo a posto con la nostra coscienza e siamo sicuro di aver fatto di tutto per dare le opportunità giuste ad ognuno dei ragazzi che alleniamo, allora tutto il resto non conta o comunque conta meno.

Il giudizio di merito più importante è il pensiero che mi faccio del mio operato. Farsi un esame di coscienza e rendersi conto di aver fatto degli errori è il primo passo, ma se siamo convinti di aver preso la strada giusta per il bene comune, sarebbe opportuno non rendersi vulnerabili a facili illazioni e/o invidie non oggettive.

Poi, capita spesso che il più delle volte perseguire con fiducia nelle dinamiche adottate è la migliore strada possibile. Il tempo in questo senso ha una grande potenzialità rivelatrice.