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sabato 9 gennaio 2021

OGNI ALLENATORE DEVE SAPERE CHE QUELLO CHE DICE CHE FA E CHE PENSA SARA' IMPORTANTI PER GLI ALTRI

 


Flavio Tranquillo è un ispiratore per molti in ambito sportivo e un divulgatore di buon senso.

Ieri sera nell’incontro on line, “Così per Sport” organizzato dal Basket Seregno, il fatto che abbia detto che le Associazioni Sportive non sono agenzie educative, ma che pur avendo contenuti educativi non possono essere considerate alla stregua della Scuola, unica vera agenzia educativa, non mi lascia molto sereno.

Ho sempre considerato le Società Sportive luoghi educativi a tutti gli effetti al pari della Scuola e della Famiglia. Anzi in certe fasce di età (adolescenziali per lo più) probabilmente il ruolo educativo esercitato dagli allenatori è decisamente prominente rispetto ad altre figure importantissime come insegnanti e genitori.

Questo è importante farlo sapere a tutti. Un allenatore non può non sapere che è un educatore e anche se insegna “solo” a giocare a Basket, a prescindere dai propri studi, dai corsi svolti con le federazioni, dalla fede e da qualsiasi altra storia personale, sta educando e insegnando ad essere una persona migliore.


martedì 10 marzo 2020

UN PENSIERO FELICE PER TUTTI QUELLI CHE MERITANO UN PENSIERO FELICE



Un pensiero felice ai giocatori che salutano quando entrano in palestra. Un pensiero felice a chi sta attento con gli occhi e la mente quando l'allenatore parla. Un pensiero felice a chi quando deve uscire per un cambio, corre verso il compagno che deve entrare lo incoraggia e gli da un cinque. Un pensiero felice ai giocatori che mettono via i palloni quando non servono più. Un pensiero felice ai giocatori che si allenano al tiro anche fuori dagli orari di allenamento. Un pensiero felice ai giocatori che aiutano un compagno in difficoltà. Un pensiero felice ai giocatori che non protestano con l'arbitro. Un pensiero felice a tutti quelli che hanno anteposto il proprio tornaconto personale con quello dello squadra. Un pensiero felice a chi si sacrifica difendendo sempre sul più forte. Un pensiero felice ai giocatori che fanno bene i blocchi. Un pensiero felice a quelli che seppur giocando poco non ti fanno mai mancare il loro impegno e il loro sorriso. Un pensiero felice ai giocatori che capiscono che anche l'allenatore può sbagliare e lo comprendono. Un pensiero felice ai giocatori che nel momento decisivo fanno la cosa giusta. Un pensiero felice ai giocatori che chiedono scusa. Un pensiero felice ai giocatori che sono d'esempio per gli altri. Un pensiero felice ai giocatori che la borsa di fianco alla panchina non la buttano a caso ma le depongono in ordine di fianco al muro. Un pensiero felice ai giocatori che ti mandano gli auguri di Natale perchè sei una persona importante per loro. Un pensiero felice ai giocatori che ti chiedono di poter fare un allenamento in più. Un pensiero felice ai giocatori che in allenamento si accusano del fallo che fanno. Un pensiero felice ai giocatori che anche quando non sei più il loro allenatore non ti fanno mai mancare il loro rispetto. Un pensiero felice ai giocatori che ti guardano seduti in panchina con la voglia di entrare e dare il massimo. Un pensiero felice ai giocatori che si siedono in panchina vicino agli allenatori per ascoltare i suggerimenti detti agli altri. Un pensiero felice per tutti i giocatori che non hanno invidie ma apprezzano e cercano di imitare le virtù dei compagni. Un pensiero felice ai giocatori che organizzano bene il riscaldamento della propria squadra. Un pensiero felice a tutti i giocatori che anche se non c'è l'allenatore si comportano perfettamente comunque. Un pensiero felice ai giocatori che sono felici se un loro compagno è stato selezionato. Un pensiero felice ai giocatori che ascoltano tutti con attenzione, ma che poi fanno le cose con la propria testa e coscienza. Un pensiero felice ai giocatori che hanno pensieri felici.

domenica 29 settembre 2013

"QUANDO ALLENARE GIOCATORI E' ANCHE FORMARE UOMINI"
PAROLE E MUSICA DI COACH ANDREA CAPOBIANCO


Ho trovato questa bella intervista fatta da Chiara Turrini ad Andrea Capobianco pubblicata sul sito www.basketlive.it che vorrei condividere con tutti quelli che ritengono necessario e importante sapere che dietro dei giocatori ci sono dei ragazzi, dietro degli atleti ci sono delle persone che dietro uno sportivo c'è un uomo, con le sue fragilità, i suoi errori, i suoi talenti e le sue potenzialità.


A teatro, quando cala il sipario la gente applaude. È normale che non pensi al dietro le quinte, alla frenesia di chi lavora oltre le strisce di stoffa che separano la scena e quello che sta dietro. Dietro le quinte è fatica degli addetti ai lavori e degli attori che imparano la parte, è il progetto dello spettacolo che prende forma secondo il copione. Gli spettatori non lo vedono ma gli attori lo vivono. E il regista lo sa.

 In questo caso il regista è Andrea Capobianco, responsabile tecnico del Cna e del Settore Squadre Nazionali Maschili, attualmente coach degli Azzurri Under 18. Andrea, in questo periodo impegnato con i ritiri estivi, dirige con passione i lavori del dietro le quinte, perchè “la progettazione è un punto chiave di tutto il lavoro che svolgiamo e che abbiamo svolto, ad esempio con la Nazionale Sperimentale”.

L'intenso mese di giugno con la Nazionale Sperimentale ha portato i frutti sperati: Daniele Magro e Massimo Chessa sono stati convocati con Nazionale A. “Dalle recenti convocazioni si vede la buona riuscita di questo nostro lavoro – spiega il coach – una progettazione sul lungo periodo ma che sta andando nella direzione giusta”.

“Il nostro obiettivo – sottolinea – non era il risultato di una partita, che pure è arrivato, soprattutto contro la Francia. Siamo stati chiari fin da subito: è un progetto a lungo termine, ma da cui abbiamo avuto una grandissima soddisfazione. Il lavoro non era solo fisico, ma anche mentale, di motivazione. Alla fine è stato bello vedere come tutti si sono impegnati per andare oltre il limite, al di là della stanchezza. È questo che li porta a fare dei passi avanti”.

Filosofia cestistica
"Alla base di questo sport che non è solo uno sport ci sono i valori. – evidenzia il coach – E lo sport per la società può fare molto. Ad esempio un passaggio non è un gesto del braccio verso un compagno. È un atto che ci porta a rinunciare alla possibilità di prenderci gli applausi per illuminare il palco di un nostro compagno. Ai bambini del minibasket bisogna dire bravi se passano la palla più che se tirano, perchè solo così si può comprendere che una squadra è unita per un bene comune”.

Patti chiari, amicizia lunga
Formare ventenni, gestire adulti. Coach Capobianco ha allenato tutte le categorie, dal minibasket alla Nazionale (nel curriculum manca solo l'A dilettanti), e per questo gira l'Italia, perchè “ per capire le cose bisogna guardarle a 360°”. Dice di non credere in regole prestabilite riguardo il suo mestiere. “Allenare vuol dire avere a che fare prima di tutto con persone, e quindi gestire relazioni interpersonali. Poi la questione è: io allenatore e tu giocatore, insieme, cosa possiamo fare? Dove possiamo arrivare?” Alla base di questo rapporto di fiducia devono esserci chiarezza, coerenza e tolleranza.
La chiarezza è il valore alla base della comunicazione. Per cui un giocatore deve essere lasciato libero di scegliere, capace di assumersi la responsabilità di intraprendere la via che premia, quella della fatica: “Assolutamente, dobbiamo lasciarli scegliere, far sì che si assumano questa responsabilità quando noi diciamo loro chiaramente che il sacrificio e lo sforzo sono l'unica via per diventare forti”.
La coerenza è quello che dà credibilità alla persona. “Io penso che tutti i giocatori meritino, e debbano essere allenati per arrivare al loro massimo, sia che ciò voglia dire renderli supercampioni, sia giocatori tutto sommato mediocri. Tutti hanno la loro dignità non solo come giocatori ma in quanto persone. La coerenza è anche quel valore per cui io stesso devo dare sempre il massimo, per essere d'esempio ai ragazzi. Cerco sempre di portare me stesso in palestra”.
La tolleranza è quello che sta alla base dei rapporti: per cui in certi casi fare un passo indietro è farne uno in avanti, perchè vuol dire accettare la diversità dell'Altro senza per questo respingerla.
“Da qui nasce la consapevolezza, che è quello che dobbiamo insegnare a ogni singolo giocatore, e dobbiamo farlo per ogni singolo esercizio - spiega Andrea, che però si schernisce: “Detto questo, nessuno è infallibile e gli errori purtroppo capitano”.

“Allenare un giocatore, soprattutto se giovane, - continua – non vuol dire accontentarlo, ma prendersi cura della sua persona, aiutarlo a crescere. Vuol dire guardare specialmente alle cose che non vanno bene, lavorare sui limiti. È questo il dovere di un coach, e allenare vuol dire prendersi il proprio ruolo. Con chiarezza, coerenza e tolleranza”.

Beata gioventù
Coach C ha visto passare dalle sue palestre generazioni di giocatori. Passano gli anni, cambiano i tempi. Che differenza c'è oggi con quando ha iniziato? “Le differenze tra generazioni ci sono, come è normale ci siano. Ma non è vero il luogo comune 'non ci sono più i ragazzi di una volta'. O meglio, certo, i giovani sono cambiati, ma non sono peggiorati. È cambiato il modo in cui manifestano i valori, ed è forse più difficile tirar fuori il cuore. Ma c'è, c'è ancora, si gioca ancora nei campetti all'aperto, la passione esiste, va tirata fuori”.
Qual è la problematica più difficile quando si tratta di lavorare coi giovani? “Oggi si dice che i ragazzi sono superficiali. Io non la penso assolutamente così, anzi. Ma devono essere meno diffidenti, devono credere in chi vuole aiutarli a crescere. Hanno dentro le cose, ma non è facile fargliele tirare fuori. Penso che debbano avere il coraggio di essere profondi, e quando lo fanno capitano cose bellissime, piccole cose: ragazzi che vanno via poi tornano a salutare, che ringraziano di averli corretti severamente...Perchè siamo allenatori, ma anche, pur nel nostro ruolo, punti di riferimento importanti per la loro vita”.

La giusta distanza
Allenare è una vocazione? Andrea Capobianco aveva iniziato l'università, Facoltà di Medicina. Esami regolari fino al terzo anno poi la scelta: voglio allenare. I genitori, lei preside, lui avvocato, superato il pallore iniziale lo lasciano assumersi la responsabilità della scelta.
Oggi Andrea paragona la sua attività di allenatore a quella di un insegnante: “In un certo senso sì, una vocazione, ma più che altro è un ruolo che deve restare entro certi confini”. La famiglia dei giocatori, ad esempio. Spesso i ragazzi stanno più tempo col coach che a casa, si creano legami. Andrea non è sposato e non ha figli, ma sarebbe sbagliato usare la metafora dell'allenatore anche un po' padre. Ognuno ha il proprio ruolo. “Su questo tema, mi piace ricordare uno dei giocatori che conosco meglio e a cui sono molto legato, Giuseppe Poeta. Lui deve molto alla sua famiglia, che io conosco da anni, perchè l'ha aiutato in ogni momento senza mai rubare il ruolo all'allenatore. Credo nella pallacanestro e nell'educazione fatte di collaborazioni, e allenatore e genitori devono guardare sempre alla crescita del ragazzo. Quando non accade questo, ognuno deve stare al suo posto”. Le è capitato di affrontare situazioni in cui i ruoli erano confusi? “Certo. E quando non ero più solo allenatore ma qualcosa di simile a un padre ho dovuto mettere una distanza, erigere muri per proteggere i rapporti tra le persone”.

Panta rei
“Poi c'è il tempo – aggiunge Andrea – un fattore troppo importante. È il tempo che ci fa capire realmente come sono andate le cose, chiarisce tutto”. L'esempio è inequivocabile: “Come durante una partita, pianifichi di vincere dopo una strategia di pressing sui 40'. All'inizio prendi dei canestri, prendi un parziale, ma ci sta. Perchè alla fine gli avversari sono stanchi e tu vinci grazie al tuo progetto iniziale. Il tempo è la verifica. Io credo molto nei miracoli, ma noi non possiamo farne. Possiamo però credere nelle nostre idee e portarle avanti con coraggio, prendendoci la responsabilità di scelte 'fuori moda' perchè siamo sereni e saldi nelle nostre intenzioni”.

Solo cose belle
Questo è il capitolo “soddisfazioni”. “La serenità non te la dà una vittoria né te la toglie una sconfitta. Mi è servito tutto quello che ho vissuto coi ragazzi, nel bene e nel male. E poi, quando li vedi a certi livelli...ripaga degli sforzi fatti”. Certo, Capobianco ha vinto molti premi di squadra e come miglior allenatore, ma dice che quelle soddisfazioni non sono niente se confrontate con i piccoli gesti di umanità nel quotidiano della professione. “La più grande? Forse quando Giuseppe Poeta, Luca Infante e Valerio Amoroso, tutti e tre cresciuti con me, vestirono insieme la maglia della Nazionale...”.
O quando a vestirla è proprio il coach: “Un'enorme soddisfazione per me è poter indossare i colori della Nazionale, è sempre stato il mio sogno. Mi vengono i brividi ogni volta che indosso quella maglia. Certo, sono stato contento delle offerte da parte di alcuni club, ma per me l'onore più grande è questo”.

mercoledì 5 ottobre 2011

DALLA ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA'
LIFE SKILLS EDUCATION IN SCHOOLS


Ho sentito parlare solo di recente delle "Life Skills", durante una delle lezioni durante il Corso di Perfezionamento che ho svolto presso l'Università di Bergamo. Le "Life Skills sono l'insieme di abilità personali e relazionali che servono per governare i rapporti con il resto del mondo e per affrontare positivamente la vita quotidiana, "competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità", abilità e competenze "che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana.

Il "nucleo fondamentale" di life skill è costituito da:

01. Capacità di leggere dentro se stessi (Autocoscienza): conoscere se stessi, il proprio carattere, i propri bisogni e desideri, i propri punti deboli e i propri punti forti; è la condizione indispensabile per la gestione dello stress, la comunicazione efficace, le relazioni interpersonali positive e l'empatia;

02. Capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (Gestione delle emozioni): "essere consapevoli di come le emozioni influenzano il comportamento" in modo da "riuscire a gestirle in modo appropriato"e a regolarle opportunamente;

03. Capacità di governare le tensioni (Gestione dello stress): saper conoscere e controllare le fonti di tensione "sia tramite cambiamenti nell'ambiente o nello stile di vita, sia tramite la capacità di rilassarsi";

04. Capacità di analizzare e valutare le situazioni (Senso critico): saper "analizzare informazioni ed esperienze in modo oggettivo, valutandone vantaggi e svantaggi, al fine di arrivare a una decisione più consapevole", riconoscendo e valutando "i diversi fattori che influenzano gli atteggiamenti e il comportamento, quali ad esempio le pressioni dei coetanei e l'influenza dei mass media";

05 Capacità di prendere decisioni (Decision making): saper decidere in modo consapevole e costruttivo "nelle diverse situazioni e contesti di vita"; saper elaborare "in modo attivo il processo decisionale può avere implicazioni positive sulla salute attraverso una valutazione delle diverse opzioni e delle conseguenze che esse implicano";

06 Capacità di risolvere problemi (Problem solving): saper affrontare e risolvere in modo costruttivo i diversi problemi che "se lasciati irrisolti, possono causare stress mentale e tensioni fisiche";

07 Capacità di affondare in modo flessibile ogni genere di situazione (Creatività): saper trovare soluzioni e idee originali, competenza che "contribuisce sia al decision making che al problem solvine, permettendo di esplorare le alternative possibili e le conseguenze delle diverse opzioni";

08 Capacità di esprimersi (Comunicazione efficace): sapersi esprimere in ogni situazione particolare sia a livello verbale che non verbale "in modo efficace e congruo alla propria cultura", dichiarando "opinioni e desideri, ma anche bisogni e sentimenti, ascoltando con attenzione gli altri per capirli, chiedendo, se necessario, aiuto;

09 Capacità di comprendere gli altri (Empatia): saper comprendere e ascoltare gli altri, immedesimandosi in loro "anche in situazioni non familiari", accettandoli e comprendendoli e migliorando le relazioni sociali "soprattutto nei confronti di diversità etniche e culturali";

10 Capacità di interagire e relazionarsi con gli altri in modo positivo (Skill per le relazioni interpersonali): sapersi mettere in relazione costruttiva con gli altri, "saper creare e mantenere relazioni significative" ma anche "essere in grado di interrompere le relazioni in modo costruttivo"

Ogni educatore e in questo senso anche ogni istruttore e allenatore di pallacanestro, dovrebbe conoscere le "Life Skills" e preoccuparsi di perpetuare nel tempo esercizi che possano essere funzionali anche al miglioramento, non solo della tecnica, ma anche di come risolvere un problema, di come essere in grado di comunicare efficacemente, di come gestire le proprie emozioni...

Sono tutte cose che oltre a migliorare il giocatore, l'atleta, il cestista... possono e devono migliorare la persona nel suo complesso. E tutto ciò mi sembra una gran cosa.

martedì 4 ottobre 2011

COSA C'E' DI PIU BELLO CHE FAR EMERGERE LE DOTI DELLE PERSONE CHE CI STANNO ACCANTO

In un mondo in cui ognuno di noi vorrebbe insegnare qualcosa ad un altro, mi rendo sempre più conto che spesso la vera capacità di riuscire ad entrare nell'intimo di quacuno, insegnando qualcosa di vero, sta nel guardare, ascoltare e riconoscere nell'altro le cose belle e meritevoli che risiedono già dentro di lui e che vorremmo emergessero.

Spesso mi perdo in grandi discorsi e in spiegazioni futili, sia in termini tecnici che tattici che di atteggiamento sul modo di essere persone e atleti, ma in realtà non mi rendo conto che le cose che dico, chi mi sta di fronte, le sa già. Le ha già dentro di se.

Il vero modo quindi di educare è quello di riuscire a tirare fuori quello che è già dentro le persone con cui abbiamo a che fare.

Mi devo convicere di questo e nonostante la normale voglia o necessità narcisista di far risaltare al centro dell'attenzione il mio modo di essere, la mia parsonalità e/o la mia conoscenza (più o meno approfondita), scavare nel profondo delle persone, ricercando doti e attitudini da far emergere, è compito necessario per ritrovarsi un giorno con la soluzione in mano e con una persona migliore di fronte.

Cosa c'è di più bello nel vedere emergere le doti delle personi che ci stanno accanto?

sabato 7 novembre 2009

COME ESSERE MIGLIORI ALLENATORI/PERSONE
PAROLE E MUSICA DI ETTORE MESSINA


Prendo volentieri spunto dalla visione di un clinc tenuto recentemente da Ettore Messina per proseguire nella ricerca che stiamo facendo per essere oltre bravi allenatori anche migliori persone.

Messina nei file audio che potrete scaricare qui sotto, dice apertamente delle cose che oltre a confermarlo numero uno per il modo d'intendere la pallacanestro, lo esaltano ancora maggiormente per l'umiltà e la competenza con cui i concetti espressi vengono espressi.

Se volete capire qualcosa in più di un grande allenatore (e di voi stessi) potete cliccare QUI e poi anche QUI

venerdì 6 novembre 2009

A. CAMUS: "NULLA E' PIU' DISPREZZABILE DEL RISPETTO FONDATO SULLA PAURA"


Spesso vedendo certi miei colleghi allenare in gare di campionato (o allenamenti) riconosco un atteggiamento troppo aggressivo e di sfida nei confronti dei propri giovani atleti. La qualità dell'ambiente di squadra (creata più o meno ad arte dall'allenatore) influisce positivamente e/o negativamente sul successo che quella squadra avrà in quel determinato momento. Il rapporto di fiducia che intercorre tra allenatore e giocatori e tra giocatore e giocatore, ha di fatto un valore imprescindibile dai camportamenti degli stessi.

La fiducia nell'allentore da parte degli atleti passa certamente attraverso credibilità (competenza e gestione delle risorse in modo positivo) rispetto (come tratti sarai trattato) e imparzialità (ad ognuno il suo) ma ancora più importante rispetto a queste belle cose è il concetto per cui il giocatore (soprattutto giovane) cerca ispirazione dal proprio allenatore in ciò che è e in cio che fa.

Quando si ha il compito di influnzare gli altri, l'esempio non è semplicemente la cosa più importante, ma l'unica strategia di successo.

Sfidare con la strategia del terrore i comportamenti degli altri, non solo è un errore tecnico psicologico enorme (soprattutto in campo edicativo) ma è anche la dimostrazione di un vuoto culturale di enorme valenza.

E' per questo che in linea di principio non possono esistere nemmeno i cambi punitivi in partita. Può capitare... ma non dev'essere il principio fondante del mio modo di fare i cambi, altrimenti alla lunga c'è un ritorno ai discorsi sopra descritti.

mercoledì 7 ottobre 2009

COSA FARE: ALLENARE OGGETTI O PERSONE?
LA PSICOLOGIA CI DA UNA MANO A CAPIRE


ALLENARE OGGETTI O PERSONE?

La funzione primaria dell’allenamento è fornire al singolo e alla squadra stimoli costanti e funzionali al loro sviluppo.

Il giocatore è una persona che apprende un gesto tecnico, una tattica difensiva, oppure una macchina neuromuscolare da programmare? Il coach è un computer da panchina o una persona con tutte le sue funzioni?

In una relazione tra persone si esclude la prevaricazione: l’uomo come totalità va rispettato e non usato.
In una relazione tra oggetti ci si trova a considerare ed essere considerati cose, che ciascuno può utilizzare per raggiungere i propri scopi indipendentemente dalle leggi biologiche, morali e sociali dell’individuo.

Questo tipo di relazione e di rapporto distrugge le persone e non fa progredire.

Non ci può essere apprendimento se non c’è motivazione.

Chi tratta gli altri come oggetti, tende ad utilizzarli in funzione di obiettivi esterni (prestazione, vittorie, carriera, denaro ecc.) perdendo di vista (o scegliendo di non vedere) che l’individuo va posto al di sopra di tutto. Il pericolo più frequente in cui si incorre nella attuale pratica sportiva: l’atleta, usato come oggetto dall’allenatore, dal dirigente, dallo sponsor…

L’atleta (soprattutto in età giovanile) deve avere chiaro che non ha senso “morire” solo di prestazione, ma ricercare nella prestazione il massimo dell’autorealizzazione. Solo così ci sarà auto motivazione. Solo così sarà possibile apprendere. Solo così saremo capaci di proseguire con fiducia e lungimiranza il massimo potenzialmente possibile per ognuno dei giocatori (persone) che abbiamo di fronte.

da Tommaso Biccardi (Teoria e Pratica della Psicologia del Basket)

sabato 2 maggio 2009

INSEGNARE I FONDAMENTALI? SI MA COME?
MERA RIPETIZIONE O ESALTARE LE QUALITA'?


Un noto professore universitario, David Ausubel (non so chi sia però l'ho letto da qualche parte) lanciò questa provocazione: "Se volete avere degli alunni che vi seguano nelle lezioni e che da voi impareranno tutto, iniziate ad insegnare le cose che loro già conoscono!"

"La conoscenza è costruita nella mente di colui che impara"

Sono rimasto folgorato che da questa intuizione di sto tipo che di fatto esalta l'allievo e depone meno potere all'insegnante.

Nella formazione degli allenatori di basket, ma si potrebbe tranquillamente parlare di qualsiasi altro tipo di formazione, la lezione "Ex cathedra" dove il professore di turno possiede la verità e la spiega a quelli di fronte a lui, è il metodo più diffuso per concepire insegnamento e apprendimento.

Ho sempre sostenuto e lo ribadisco ancora di più oggi, che il vero insegnante di pallacanestro non è colui che cerca di travasare quello che lui ha imparato dai libri, dai corsi o dalla propria esperienza personale, vomitandolo addosso ai suoi inermi allievi, ma al contrario il vero insegnante è colui che con capacità sopraffina pone le basi dell'apprendimento cooperativo, dando "soltanto" degli spunti di crescita.

Giusto per farmi nuovi amici arrivo al dunque del titolo: "Insegnare i fondamentali? Si ma come? Mera ripetizione o esaltare le qualità!"

Nel passato, fino a 15 anni fa, credevo che la mera ripetizione di esercizi uno contro zero potesse portare ad un miglioramento dei fondamentali dei miei ragazzi. Ero convinto di sta roba, ci credevo e passavo le ore a pensare nuovi esercizi, a studiare progressioni sempre più interessanti e non mi rendevo conto che perdevo solo del gran tempo.

Da un po' di anni a questa parte ho abbandonato questa politica e con esercitazioni sempre più mirate e complesse, cerco di far esplorare ai ragazzi che alleno, in parte quello che loro già conoscono bene, rinforzando le certezze ed esaltando le qualità, e in parte cerco di allenare le persone a eseguire scelte e movimenti più velocemente del pensiero che le accompagna. Tutto questo per: 1) dare qualche certezza in più (vale il discorso del professore di prima) 2) trovare il modo di entrare nell'intimo degli allievi 3) aperta la porta della mente entrare a fare ordine 4) cuorisità, interesse e divertimento possono essere una buona base di partenza, per poter progredire.

Cose difficili in effetti da spiegare.

Faccio un esempio che così io per primo mi chiarisco le idee.

Ho avuto nel recente passato un ragazzo che pur essendo uno dei più forti giocatori che io abbia mai allenato, non pallaggiava mai con la mano debole. Non lo faceva neppure con la pistola puntata alla tempia.

Tutti gli allenatori del mondo l'avrebbero preso e gli avrebbero legato la mano forte, per obbligarlo a usare anche l'altra mano.

A contrario di questa logica comune e largamente condivisa dalla maggior parte delle persone normali, (di cui io non faccio parte) in un primo momento non ho fatto nulla di particolare, se non cercando di migliorare ancora di più l'utilizzo della sua mano forte, dandogli qualche strumento in più per superare il problema di usare una mano sola.

Ma come? Dirà la maggior parte di voi. In effetti è stato così. Ho rinforzato ancora di più le sue qualità cercando di nascondere le debolezze. In un secondo momento è stato lui stesso (sinceramente non so ancora il perchè e mi guardo bene dal chiedere a lui sta roba) a venire da me a chiedere di poter migliorare la sua mano debole.

A questa richiesta ho ceduto volentieri perchè la situazione a volte era davvero imbarazzante e da "bravo" allenatore mi sono messo a disposizione per poter farlo migliorare anche da quella parte. Il risultato conseguito ad oggi è sufficiente, anche se si potrebbe fare certamente meglio, però quello del risultato finale è un altro tipo di discorso. Mi interessa chiarire il concetto di insegnamento-apprendimento.

Cosa ho ottenuto da questo fatto?

Beh semplice. Se fossi stato io il primo a fare la prima mossa (come la maggior parte dei bravi allenatori avrebbe fatto) avrei posto la mia figura sopra la sua, con tutti i problemi che una gestione di questo tipo comporta. Qua si parla di un problema relativamente semplice, tipo l'utilizzo della mano debole, ma con un po' d'immaginazione e di fantasia sarà facile per voi trasferire questa veduta delle cose a fattori e o a prerogative un più importanti. La forte personalità di un ragazzo a contrasto con quella dell'allenatore, la caparbietà che a volte si trasforma in egoismo pericolosa per la crescita di un gruppo, il troppo affidarsi al talento a discapito della concretezza... potrebbero essere tutti temi importanti per cui a volte nascono conflitti determinanti per carriere di giocatori o allenatori stroncate sul nascere.

Nel nostro caso quindi la scelta personale di questo giovane di chiedermi di farlo migliorare ha cambiato le carte in tavola e mi sono ritrovato con uno che voleva a tutti i costi migliorare, perchè lui riteneva un problema questo stato delle cose. Non io, lui!

Potrà sembrare banale, ma vi assicuro che se applicato a molte delle cose che facciamo, diciamo e pensiamo tutti i santi giorni, questo piccolo trucchetto fa cambiare la veduta di molte cose. Non siete voi che volete insegnare ai vostri giocatori come si gioca, sono loro che vogliono imparare. Cambia la prospettiva.

E' diverso. E questa diversità, alle volte fa la differenza!

Non fate ripetere a vuoto ore e ore i fondamentali che vi hanno insegnato nei corsi allenatori, esaltate le qualità dei vostri ragazzi e vi ritroverete delle menti aperte in mano da poter far progredire.

sabato 29 marzo 2008

MOLTI MI CHIEDONO I SEGRETI DELL'ESSERE

UN ALLENATORE IN GAMBA... DAL SITO AIPS


Intervento di Vincenzo Prunelli

Che cosa ci permette di avere autorità e di essere seguiti? Non una tecnica, ma il nostro modo di essere e la capacità di creare un clima che riconosca il rispetto, la cooperazione, la responsabilità di tutti, la somma delle idee e la valorizzazione dei contributi e delle intenzioni prima ancora che dei risultati concreti. Ma più ancora l'evitare ciò che crea distanza o ci rende vulnerabili.

Le motivazioni più prementi per un allievo, infatti, sono il rapporto con noi e il clima della squadra, il sentirsi apprezzato per ciò che fa o anche solo cerca di fare, il partecipare e constatare che ciò che gli insegniamo e chiediamo è sempre applicabile ed efficace.

È unanimemente riconosciuto che l'allenatore deve essere autorevole e non autoritario, ma il confine e le differenze tra autorità e autoritarismo non sono netti. Entrambe le posizioni possono dare peso agli atti e alle opinioni, ma sono due realtà del tutto diverse. L'allenatore che ha autorità ottiene consenso e stima, e stima egli stesso l'allievo, non vuole sottomissione ma iniziativa e partecipazione

L'autorità non ha bisogno di essere imposta, perché sono gli altri a volerci seguire e perché rispecchia la stima e il prestigio che abbiamo raggiunto.

Invece l'autoritarismo, con il quale si vuole imporre l'osservanza delle norme e l'esecuzione passiva dei comandi, non deriva dal prestigio acquisito, ma è uno strumento cui si ricorre per imporsi quando non si hanno altri mezzi per essere seguiti.

Oggi si parla meno di sergente di ferro, perché comportarsi in quel modo vuol dire mantenere condizioni in cui gli allievi restano soldatini che, se tutto va bene, eseguono, ma non arrivano alla sicurezza per proporre e fare da soli, o che, più spesso, diventano distruttivi. Il sergente di ferro, infatti, sa solo comandare e non concede spazio per decidere e agire, ma così va incontro a due risultati pressoché analoghi: un allievo passivo che si adegua o uno ostile che si ribella.

Nel caso di quello che si adatta avremo la mancanza di continuità, le gare sottogamba, i cali inspiegabili e tutte le situazioni in cui resta dipendente anche quando dovrebbe fare da solo, perché la creatività, l'entusiasmo, l'iniziativa e il coraggio di fare restano inattivi e spesso mortificati, e ciò provocherà l'incapacità di maturare l'impegno che nasce solo da forti motivazioni.

Nel caso di quello che si oppone avremo reazioni ostili come, fino a una certa età, i vari tipi di resistenza passiva, le delusioni o i veri e propri fallimenti. Più tardi avremo le trasgressioni, il disimpegno o le ribellioni più o meno palesi.

Vediamo tanti allenatori, sempre comunque apprezzabili, che, per mancanza di conoscenze e di una formazione specifica, mettono insieme buone intenzioni ed errori. C'è chi si impegna a rinunciare a certe durezze o pretese, ma non le sa sostituire con un vero rapporto fondato sulla partecipazione; chi cerca un rapporto più affettivo, magari basato sull'amicizia, ma perde autorità; dedica più tempo a spiegare, senza però cambiare il modo di farlo; chi chiede partecipazione, ma permette e si attende poco più che fedeli esecuzioni; e chi cerca di stimolare e incoraggiare con le parole oppure, con buone maniere, dà tutto già predisposto, e così anestetizza il desiderio di sapere e di sperimentarsi.

Molti allenatori sono burberi, magari urlano o si impongono con il comando, ma dietro questa facciata esteriore nascondono una durezza di maniera, un pudore affettivo che maschera una disponibilità che gli allievi avvertono e che esprime il rispetto per ciò che essi si impegnano a fare.


Condivido il trattato di questo psicologo intravedendo in molti modi che vengono descritti casi di allenatori e istruttori con cui ho avuto a che fare nel passato e che in qualche occasione mi capita ancora adesso di incontrare.

Aggiungo un particolare secondo me significativo. Spesso mi capita di vedere che più si scende di livello più c'è permessivismo, più si sale di categoria e di livello di società più c'è autorità.

Questo capita anche a stesse persone che magari buoni allenatori con un grado di autorità medio... salendo di livello e magari facendo carriera in società più blasonate o allenando gruppi più forti, aumentano in modo spropositato la loro autorità.

Di fatto l'autorevolezza cambia a mio parere con la maturità, ma non dovrebbe cambiare in base al posto dove sei o alle persone che ti circondano. Se ritieni giusto essere autorevole con un certo grado, non puoi cambiare perchè alleni a Treviso invece che a Lissone. E' vero (e parlo per esperienza personale) che il mio modo di fare di 15 anni fa nei confronti di uno che arrivava tardi all'allenamento, per esempio, è cambiato profondamente in questi ultimi anni con l'arrivo della così detta piena maturità, ma altrettanto vero che il modo di intendere i rapporti interpersonali e il trasferimento delle conoscenza tecniche che ho fatto e che faccio ogni giorno della mia vita da ormai diversi anni non si è poi così tanto modificato ne quando allenavo i gruppi B in Via Rainoldi in centro a Varese, ne quando allenavo le squadre serie alla Pall. Varese ne tantomeno adesso a Bergamo.

Sono mutati gli ambienti, ma i valori di rispetto, educazione (in senso letterale del termine: educere - tirare fuori) e fiducia nei confronti di tutti quelli che stai facendo maturare e crescere allenandoli ogni giorno dell'anno, sono rimasti di fatto immutati.

giovedì 20 dicembre 2007

DIFFERENZE TRA UN BUON ALLENATORE

E UN BUON ISTRUTTORE


Mi permetto di porre un distinguo tra un buon allenatore e un buon istruttore giovanile che abbia voglia di progredire:

Allenatore: Amministra
Istruttore: Cerca d'innovarsi
Allenatore: E' una copia
Istruttore: Cerca di essere originale e sorprendente
Allenatore: Conserva
Istruttore: Cerca di sviluppare
Allenatore: Ha in testa i suoi sistemi
Istruttore: Pensa ai suoi ragazzi
Allenatore: Cura il dettaglio
Istruttore: Chiede il perchè delle cose
Allenatore: Imita
Istruttore: Inventa e sperimenta
Allenatore: Fa eseguire
Istruttore: Fa risolvere
Allenatore: Dice quello che tutti pensano che dica
Istruttore: Pensa a quello che dice...
Allenatore: Impone il rispetto delle regole
Istruttore: Rispetta le regole senza alcuna imposizione
Allenatore: Da fiducia a chi la merita
Istruttore: Merita fiducia

Non è importante il livello di potere che detenete, ma il grado di influenza che riuscite a esercitare sui vostri ragazzi. Ma attenzione!! Il perfetto Istruttore è però colui che saprà "investire" anche sulle potenzialità di chi è diverso da lui, consapevole che nella diversità sta il germe della creatività e dell'innovazione.

Ma perchè vi dico queste cose??

Come disse Brown: "Invece di versare conoscenza nelle teste delle persone, abbiamo bisogno di aiutarle a inforcare un nuovo paio di occhiali da vista così che possano vedere il mondo in un modo nuovo."

sabato 17 marzo 2007

I DODICI PRINCIPI DEL PENSIERO POSITIVO


ALLENIAMO ANCHE LA NOSTRA MENTE


1) All’inizio di ogni impresa è il nostro atteggiamento sopra qualsiasi altra cosa che ne determina la riuscita.
2) E’ il nostro atteggiamento verso la vita che determina l’atteggiamento della vita verso di noi.
3) Noi siamo interdipendenti; è impossibile riuscire senza l’aiuto degli altri ed è il nostro atteggiamento verso gli altri, che determina l’atteggiamento degli altri verso di noi.
4) Prima che una persona riesca a realizzare il tipo di vita che desidera dovrà trasformarsi nel tipo di individuo che intende diventare. In altre parole dovrà: pensare, agire, camminare, parlare, comportarsi come la persona che desidera diventare.
5) Più in alto andremo, in qualsiasi organizzazione accettabile, migliore sarà l’atteggiamento che troveremo.
6) La nostra mente può tenere soltanto due posizioni, e visto che non c’è niente da guadagnare dall’essere negativi, siate positivi.
7) L’ambizione più profonda del genere umano è di sentirsi necessari, importanti ed apprezzati. Soddisfiamo queste esigenze e ne saremo contraccambiati.
8) Scegliamo soltanto le nostre idee migliori. Qualcuno disse: “Non ho mai incontrato nessuno della quale non potessi imparare qualcosa”.
9) Non sprechiamo del tempo prezioso facendo sfoggio dei nostri problemi personali; è probabile che non aiuti nessuno.
10) Non parliamo mai della nostra salute a meno che non sia ottima.
11) Assumiamo un atteggiamento confidente, di benessere, della persona che sa dove vuole arrivare. Il nostro atteggiamento ispirerà le persone che ci circondano e ci succederanno cose meravigliose.
12) Per i prossimi trenta giorni, trattiamo le persone con le quali siamo in contatto come se fossero le più importanti della terra. Se riusciamo a fare ciò per trenta giorni, lo faremo per il resto della nostra vita.

domenica 25 febbraio 2007

COME ESSERE ISTRUTTORI GIOVANILI


Fate giocare i vostri ragazzi. Il 5 contro 5 è determinante… allenate, costruite, fate esercizi… fate quello che volete… ma alla fine, anzi a metà fate giocare la vostra squadra 5 contro 5 in allenamento. E poi non sta scritto da nessuna parte che il 5 c 5 si faccia alla fine… si può fare all’inizio o meglio a metà!! Vi prego!!


Gli esercizi s’iniziano a sinistra… la maggior parte di noi non si rende conto che pretendiamo dagli altri quello che poi noi per primi non siamo capaci di dare… s’inizia a sinistra!!


Non offendete mai nessuno. Sgridate, fate la voce grossa anche ogni tanto… ma ricordate di non entrare nell’intimo di nessuno offendendo… sarebbe gravissimo. Per voi e per chi subisce l’abuso.


Quando un dirigente vi chiede di venire ad allenare da lui come prima domanda non dite: “quanto mi dai?” Le domande da fare sono: Posso fare quattro allenamenti? Ho dodici ragazzi e dodici palloni? In che palestra mi alleno e quanto canestri ho a disposizione? In questo modo dimostrerete qual è il vostro vero obiettivo!


Non dico mai a nessun ragazzo frasi tipo: “non fare mai questa cosa!” potrebbe arrivare il giorno che dovranno farla perché necessario e non saranno pronti! Se un ragazzo tira da tre e sbaglia non gli dico di tirare da sotto perché ha sbagliato… gli dico piuttosto se la scelta di tiro era giusta o sbagliata… e la maggior parte delle volte che un ragazzino tira, la scelta è giusta Per favore non fate mai un cambio perché uno sbaglia un tiro. Come tirerà la prossima volta?? In allenamento dite questa cosa: “Sei libero! Devi tirare e se sbagli fa niente! Era giusto tirare! Se l’azione prossima sei libero devi tirare ancora… e se sbagli esci!! Beh! Non si può avere tutto nella vita!!


Date fiducia incondizionata ai vostri ragazzi, la stessa cosa avverrà da parte loro nei vostri confronti! Quando un vostro giocatore fa un errore da cambio assoluto, fate alzare uno dalla panchina per metterlo sul cubo dei cambi… poi (se ne avete la possibilità) non cambiate lui, ma un altro!! Fatelo cagare addosso ma date un'altra possibilità… I vostri ragazzi faranno lo stesso con voi quando sbaglierete…


Io in allenamento cerco di non fischiare ne i fuori, ne i falli… gestisco i contatti… se c’è un fallo perché la gente se ne approfitta do buono il canestro, anche se la palla non entra!! Si crea un limite e però tutti lottano come pazzi… senza lamentarsi… soprattutto si crea una abitudine che poi in partita sarà utile, per non pensare al fischio non fatto degli arbitri… All’inizio dell’anno io non dico mai regole tipo: ragazzi arrivate in orario, oppure arrivate 15 minuti prima… però io se l’allenamento è in programma alle 17, inizio alle 17… chi c’è c’è chi non c’è… fatti suoi e quando arriva in ritardo si sentirà un merda… e vedrete non arriverà più in ritardo… E’ l’esempio che conta più che le parole… voi potete dire tutto quello che volete, ma poi i ragazzi dopo cinque minuti hanno già capito tutto di voi… leggendo il vostro atteggiamento e i vostri segnali dichiarati non con la parola…


Non fate esercizi che quando voi eravate ragazzi i vostri allenatori vi facevano fare e non li sopportavate… la maggior parte di noi ripete quello che hanno vissuto… ma allora cosa serve l’esperienza!! C’è un esercizio che mi faceva fare il mio allenatore… cambi di mano…


Ad inizio anno siate più duri ed esigenti che a metà stagione… a metà stagione siate più duri ed esigente che a fine stagione… quindi fate i vostri calcoli, fin dall’inizio… (alternate tensione e distensione) Alternate sempre tensione e distensione… non è una questione di minuti ma di vivibilità di un rapporto.


Si può esigere molto, moltissimo durante un allenamento… (qualche volta mi è capitato – un paio di volte proprio quest’anno ad inizio stagione- di vedere iniziare a piangere un ragazzino per carichi d’intensità in quel momento troppo elevati per lui) ma poi nella stessa giornata bisogna anche dare tanto, tantissimo in attenzione ed incoraggiamento nei confronti degli stessi ragazzi…


Un istruttore odiato: - non ricorda di essere stato anche lui bambino - non ha incertezze, è di un rigore snervante, incontentabile… come una scala senza pianerottoli… - scarica le proprie incapacità sugli altri - è un burocrate nell’analizzare il movimento… scava troppo su un punto… e perde il totale generale… la visone d’insieme… - c’è chi è scherzoso su tutto e serio su tutto… sono due forme di volgarità pedagogiche…


Un istruttore amato: - è capace di capire che basta un attimo per trasformarsi in un istruttore odiato - sa che mentre l’allievo è uno che deve imparare, il ragazzo è uno che si vuole divertire… - è uno non troppo complicato, con un fuoco culturale e un certo talento tecnico - fa assoluto affidamento sui suoi ragazzi comunque essi siano - chiede a tutti impegno, fatica e allegria - ha un atteggiamento benevolo, lascia dispiegare attitudine e talento in misura completa senza eccessi di cameratismo. I ragazzi respirano e crescono. - Ha un comportamento benevolo, serio e amichevole, capace di valutare le debolezze degli altri oltre che le proprie, pieno di non costose attenzioni… in questo modo si avrà accesso all’intimo di ogni ragazzo che si allena e che si istruisce… L’allenatore deve offrire il senso della sorpresa… dell’imprevisto… e una delle più potenti cose della vita è: l’essere atteso. Se un ragazzo aspetta il suo allenatore, da lui imparerà tutto!! L’ambizione più profonda del genere umano è quella di sentirsi necessari, importanti ed apprezzati. Soddisfiamo queste esigenze e ne saremo contraccambiati.